Una lunga camminata in cresta agli Ernici

Un lungo anello scavalcando il monte delle Scalelle, il Fragara, il Passeggio ed il Deta; siamo scesi per la valle del fosso di Fragara e attraverso la piana di Prato di Campoli.

Le montagne gentili degli Ernici


Quando mi trasferii nel Lazio la prima montagna su cui son salito, un po’ per caso a dire il vero, fu il Pizzo Deta, non ricordo nemmeno da che versante, poi sugli Ernici ci sono ritornato tante altre volte ed è una di queste che ha continuato costantemente a nutrire una immagine che si è fermata in un angolo della mia mente; un ricordo confuso, pieno di fatica e di nebbie, di boschi e di creste e di quel senso di incompiuto che non ne vuole sapere di andar via. In quella occasione conobbi il fantastico mondo di Prato di Campoli, mi apparve a dir poco fiabesco, approcciammo la lunga cresta fino al monte Passeggio salendo per un sentiero di cui oggi non ho certo nemmeno l’attacco; incerti, per via della poca esperienza, l’abbiamo approcciato dal piazzale (sbagliando clamorosamente fin dall’inizio), nei primi tormentati momenti ci siamo affidati all’orientamento, a quel tempo ancora molto insicuro e approssimativo, poi una volta intercettati i segnavia abbiamo cavalcato la traccia battuta. Ricordavo un bosco fitto molto lungo, tanti dubbi sulla direzione presa e poi una sella, uno slargo momentaneo con un minimo di orizzonte e poi uno sperone roccioso che affrontammo di petto, una lunga cresta che percorremmo ma non vivemmo, tanta era la nebbia che ci accolse; arrivammo al Passeggio ma rinunciammo ben presto al pizzo Deta per ritornare sui nostri passi tanta era l’insicurezza e la poca conoscenza del territorio. Ricordo che tornando indietro subito dopo il Fragara, in un barlume di orizzonte più ampio con vista sul piazzale di Prato di Campoli decidemmo di scendere dalla costa dei Fiori, una ravanata pazzesca e va detto, avventurosa ma senza logica. Sulle creste degli Ernici successivamente ci sono tornato e ritornato ancora ma mi incuriosiva rivivere esattamente quell’esperienza, rimettermici a confronto, verificare i ricordi e le sensazioni di allora, sicuramente migliorarla; ed è stato così che il primo week end di tempo stabile, forse il primo di questa primavera-estate, ho rotto gli indugi ed ho riproposto a Marina questa mia vecchia esperienza, con una variante però, quella di compiere un anello e di scendere direttamente dal Deta dentro il fosso della Fragara, lo stesso sentiero che con Marina usammo per salire e praticamente compiere l’anello contrario quattro anni fa, era inverno anche in quel caso, e per accorciare i chilometri scendemmo ancora per la Costa dei Fiori, non sempre l’esperienza porta insegnamento evidentemente. Il sentiero 616, carta di riferimento del CAI sezione di Alatri-Frosinone e Sora “Gruppo dei monti Ernici” 1:25000, inizia un chilometro e mezzo prima del piazzale di Prato di Campoli a quota 1100 mt circa; dopo aver pagato il pedaggio di accesso all’altopiano (solo durante la stagione estiva) ci mettiamo alla ricerca dell’imbocco. Il primo che si presenta a sinistra, intorno quota 1050mt, nel gomito esatto di un curvone distinto da una bella tettoia in legno con tanto di carta dei sentieri non è il nostro, mi dà però l’idea per una nuova escursione autunnale sugli Ernici (si tratta dell’imbocco del sentiero 615 che per il vallone di Femmina Morta e lungo il fosso del Brecciaro raggiunge il monte omonimo ed il Ginepro); nemmeno mezzo chilometro più avanti, nei pressi di una sbarra e di ampi pratoni con i primi punti fuoco per i campeggiatori della domenica, sulla sinistra parte la traccia ed il sentiero 616, direzione monte delle Scalelle, monte Fragara e monte Passeggio e da lì a piacere alla scoperta di nuove direzioni. Lo prendiamo, cerchiamo di seguire i bolli sugli alberi di confine del bosco ma per allontanarci da un paio di ovili (come mai sono costruiti sulla traccia del sentiero e come mai non fa parte del piano di manutenzione visto che c’è un ingresso a pagamento?) e soprattutto da un nugolo di cani poco socievoli finiamo per deviare e perdere la traccia; ritorno dietro già consapevole dell’errore fatto, mi munisco di un grosso ramo caduto a terra e tenendo a bada gli arrabbiati guardiani ritrovo il percorso. Da lì in poi, lontani dalle fauci affilate e confortati dalle bandierine sugli alberi davvero ben disposte è stata solo una questione di gamba; prima lentamente poi alzandosi con più decisione il sentiero ha traversato il bosco per poco più di un’ora, fino ad uscire dalla calotta verde a Forca Palomba a quota 1542 mt, la sella dei miei ricordi. Una apertura della calotta del bosco permette di intravedere appena la valle con la sagoma lontana del paese di Veroli, ma siamo dentro la selva boscosissima degli Ernici, ogni orizzonte è praticamente vietato. E’ un bel posticino, filtra aria e poca luce, ci fermiamo un attimo per mangiare qualcosa, ci godiamo il momento e ci riposiamo, d’altronde crediamo di essercelo meritato, salire 450 mt in un’ora e dieci minuti, per chi esce due volte al mese, è un bel risultato. A Forca Palomba la salita per un attimo termina, il sentiero si inoltra finalmente in piano ma dura poco, dopo circa duecento mt. in bella evidenza su un albero, una bandierina con tanto di freccia devia il 616 sulla destra, si riprende a salire; continuando diritti in piano si finirebbe per sfiorare Fossa Susanna e ci si ricongiungerebbe al sentiero 615 fino al Brecciaro e al Ginepro (sulla carta questo tratto di sentiero è contraddistinto con una linea tratteggiata). Nel giro di meno di mezz’ora di salita più leggera rivediamo la luce del cielo oltre gli alberi, siamo alla base di un contrafforte, uno spigolo roccioso che altro non è che l’anticima del monte delle Scalelle, lo stesso spigolo che sporge e che si distingue da Prato di Campoli. Non lo prendiamo di petto (come feci nella mia prima esperienza), con saggezza seguiamo il sentiero che inizia a viaggiare al limite del bosco; traversa per un buon tratto e poi si inerpica su delle terrazze rocciose che sporgono sulla valle. E’ un prato ininterrotto di fioriture, di Eliantemi Alpestri, di Campanule, di Vedovelle Appenniniche, di Peverine di Thomas e di Orchidee e chissà quanti altri fiori tanti sono i colori che si mischiano, è persino difficile non calpestarli, siamo nel mezzo di autentici giardini rocciosi con vista su Prato di Campoli; stupendo il colpo d’occhio d’insieme fino alla valle. Continuiamo a salire, la traccia, ora molto ripida, si infila nel mezzo di una bastionata rocciosa, le bandierine sono bel visibili da lontano, poi continua traversando sotto la dorsale di cresta; Marina lo segue, io mi alzo sopra, vorrei scattare qualche foto sul versante degli Ernici poveri, dalla Monna al Viglio che si vanno scoprendo sopra il bosco verso Nord. La giornata è stupenda, gli orizzonti vastissimi, quando raggiungo la dorsale, oltre a perdere quella privilegiata solitudine fin lì vissuta perché cominciamo ad incontrare gente, inizio a scoprire l’intero sistema di creste degli Ernici, un sinuoso su e giù di rilievi serpeggiano davanti e si confondono con quelli della cresta principale che corre da Nord-Est a Sud-Ovest, dal monte Ginepro al pizzo Deta, in una finta continuità; volendo banalizzare le cinque vette principali degli Ernici, quelle che sono care ai collezionisti dei 2000 (Ginepro, Passeggio, Pratillo, Deta e Fragara) sono disposte su due creste principali che formano, a farla semplice una “T”, il Ginepro, il Passeggio, il Pratillo ed il Deta disposti sul braccio Nord-Est a Sud-Ovest, mentre il Fragara, e ancor prima i 1800mt del monte delle Scalelle, sono disposti sul braccio Ovest-Est; il monte Passeggio fa da punto di raccordo dei due bracci. Mentre la cresta Nord-Est a Sud-Ovest fila composta, quasi rettilinea, a parte la netta salita al monte Brecciaro dalla sella omonima, quella Ovest-Est dove stavamo camminando è un serpentone sinuoso con svariati e poco accentuati saliscendi; tutta questa semplicistica fotografia del territorio è solo per dire che nonostante non sia molto esteso, vagabondare sulle bellissime creste di questo comprensorio comporta spesso di dover coprire una bella manciata di chilometri e dei dislivelli notevoli che facilmente superano i 1200mt. Superato il monte delle Scalelle che sancisce la fine delle irte salite la panoramicissima cresta continua per quasi 3 chilometri con più o meno accentuati saliscendi, fondamentalmente l’occhio percepisce una linea di salita continua, sono pochi gli strappi, qualche piccola sella, e qualche breve risalita, anche l’omino di vetta del Fragara che si vede da lontano e che sembra chissà dove arrampicato si fa raggiungere facilmente, notevole da qui il profilo del Deta, uno spigolo accuminato, una lama che ricorda molto il profilo ben più famoso della Sibilla sui Sibillini. Prima e dopo il Fragara la cresta si assottiglia un po’, precipita a destra in ripidi e lisci lastroni rocciosi mentre a sinistra degrada dentro l’arida e sassosa valle del fosso del Brecciaro per allargarsi poi e fondersi sulle dolci rotondità del monte del Passeggio, la vetta più alta degli Ernici. La salita erbosa fino alla croce di vetta del Passeggio contrasta col versante Est, due passi oltre, come un po’ tutta la dorsale Nord-Est/Sud-Ovest, precipita verticale; il primo tratto della lunga cresta, dal Ginepro al monte Pratillo precipita dentro il vallone di Rendinara, nel breve tratto dal Pratillo al Deta direttamente dentro la più estesa e più profonda val Roveto. Poca pace in vetta al Passeggio purtroppo, non c’è nulla di peggio che trovare nel momento topico di una escursione un chiassoso gruppo di escursionisti che fa venire meno l’empatia che si era creata con la montagna. Ripartiamo subito, forse anche “troppo subito”, alla volta del pizzo Deta, è un nostro maledetto difetto, quando sulle vette che tocchiamo c’è chiasso e confusione scappiamo; il sentiero, per i quasi due chilometri che separano le due vette, corre parallelo sotto la cresta, a tratti affiora in cresta con degli affacci poderosi che infilano prima la valle di Rendinara e poi, ormai nei pressi del Deta sulla Val Roveto, verso Ovest è invece costante l’affaccio sulla boscosa valle del fosso di Fragara col catino di Prato di Campoli giù in fondo. Il monte Pratillo, ormai in vista del Deta, si eleva per poche decine di metri dal sentiero, appare come una piccola piramide affatto ripida, al contrario del versante Est che come per il Passeggio precipita verso valle; il sentiero gli traversa alla base per riaffiorare in cresta sulla sella omonima che divide le due montagne e che affaccia prepotentemente sul ripido vallone di Peschiomacello, affascinante imbuto che convoglia lo sguardo mille metri più in basso verso il paese di Roccavivi. Rimangono una settantina di metri alla vetta del Deta, la raggiungiamo facilmente anche se siamo un po’ stanchi, notiamo subito la nuova croce che non c’era quando salimmo quattro anni fa, la madonnina è sempre lì. Qualche escursionista in vetta, sono molto più introspettivi di quelli del Passeggio, si godono il momento e la magia del posto. Bello come sempre è affacciarsi da questa cuspide, così verticale sulla val Roveto, e sui tetti di Roccavivi e Balsorano. Fermi sotto la croce, a cercare di trattenere tutto il bello che abbiamo intorno, cerchiamo verso Ovest le linee del sentiero che dovremo percorrere sulla via del ritorno, dentro la grande valle del fosso di Fragara, giù fino alla piana di Prato di Campoli. Mentre scrutiamo tutto l’orizzonte disponibile ci viene normale meravigliarci ancora una volta di quanto siano belle le montagne di questo piccolo gruppo montuoso. Arriva l’ora del rientro, non avevamo scorte alimentari e poco prima avevo anche perso buona parte della scorta d’acqua in una caduta improvvida della bottiglia. Memori della salita invernale di quattro anni prima e per aver studiato il percorso mentre si saliva, ritorniamo indietro fino alla sella del Pratillo, da qui inizia a scendere verso Ovest traversando dolcemente, un sentiero ben tracciato, il 617, che ben presto prima devia leggermente a destra sulla netta dorsale che scende dalla vetta e poi ancora più decisamente a destra incanalandosi dentro il vallone del fosso di Fragara. A tratti molto chiaro a tratti confuso nel versante che degrada al limite del bosco, lo lasciamo per seguire delle tracce leggere dentro il bosco stesso, pensiamo di poter accorciare il percorso. Tagliando obliquamente il versante, a tratti pensando anche di stare a seguire tracce frutto solo della nostra fantasia, convergiamo verso il centro della valle, siamo certi che incroceremo il sentiero prima o poi; quando sentiamo delle voci in lontananza davanti a noi ci lasciamo guidare e facciamo bene, al di là di un fosso intercettiamo la traccia. Per brevi tratti intuiamo la piana di Prato di Campoli ma siamo ancora alti, all’incirca sui 1500 mt., quando il sentiero si infila di nuovo nel bosco e prima di entrarci definitivamente, diamo un ultimo sguardo sul vallone del fosso di Fragara fino alle creste, verde intenso come lo possono essere solo le montagne nel periodo primaverile, richiamava vagamente paesaggi alpini; da lì in poi la traccia evidente è sostituita da altrettanto evidenti bandierine bianco-rosse sugli alberi, se non fossimo ormai stanchi e le nostre ginocchia quasi ci parlassero insultandoci, la discesa sarebbe una leggera passeggiata verso valle. Il bosco termina gradualmente, nelle radure tra gli alberi sempre più bassi prima intuiamo e poi entriamo nell’idilliaca piana di Prato di Campoli, una prateria verde brillante; qualche centinaia di mucche al pascolo, un paio di greggi, cavalli, facile sarebbe lasciarsi prendere dalla poesia di questo momento, se non fosse per il chilometro e più che non ti aspetti. Non finisce mai la piana, ormai le gambe vanno per inerzia e pensiamo solo al momento in cui ci toglieremo gli scarponi; quando raggiungiamo lo steccato che delimita la piana abbiamo davanti un altro chilometro di strada prima di chiudere l’anello e raggiungere l’auto. A corto di acqua come ho detto e soprattutto avidi di poter bere qualcosa di freso approfittiamo del camioncino ristoro a lato dell’area pic-nic, una bella e gelata Sprite ci ridà lo sprint per chiudere. Dopo sette ore, 1250 mt di dislivello e circa 15 chilometri percorsi avevamo ora un altro problema, quello di dover e poter mangiare qualcosa: ci mettiamo in macchina ma dobbiamo attendere di uscire dal vallone per avere segnale al telefono, le prime due telefonate a dei locali nei dintorni di Veroli sono andate a male, alle 15,30 può sembrare strano ma avevano già chiuso le cucine ed uno non aveva posto. E’ stata l’hosteria di Sora Lucì ad accoglierci, avevano una cerimonia ma si sono fatti impietosire dalle mie richieste, non potevano riaprirci la cucina per un primo piatto di pasta ma se ci accontentavamo di un secondo ci aspettavano. Raggiungiamo Veroli, il centro del paese, un problema trovare il parcheggio e uno ancora più grosso l’averlo trovato lontano e aver dovuto risalire a piedi il paese fino alla piazza principale; lì da una parte, sotto una fila di Tigli l’hosteria; un paio di tavoli davanti, all’esterno sulla piazza, uno apparecchiato per due, non osavamo nemmeno sperare che fosse per noi. Entro, chissà perché capiscono che ero il tizio della telefonata di dieci minuiti prima, e mi fanno cenno che il tavolo era quello sperato, li aveva mandati Dio sulla nostra strada; anzi, ho sperato anche che Dio stesse indaffarato a cercare la ciliegina da mettere sulla torta della nostra giornata perfetta, perché il regalo vero stava per concretizzarsi. Un primo piatto, eravamo stati avvisati, non era possibile, gli abbiamo fatto capire che ci saremmo accontentati… uno spezzatino con le patate vi va bene, ci ha chiesto, … è possibile anticiparlo con un antipastino, …rispondiamo noi, … fai tu, …sai siamo scesi ora dalla montagna ed è da stamattina che non mangiamo seriamente. OK faccio io ha risposto una simpatica cameriera, e da bere che vi porto? La solita acqua minerale frizzante e mezzo vino bianco, grazie; Marina ha avuto un colpo di genio, …ce l’ha una gassosa (avete mai provato un mix di gassosa e vino bianco quando avete sete e siete stanchi?). Ed è arrivata la gassosa, insieme al vino bianco, insieme ad una ricotta da far svenire (pepe nero e rosso sopra con un filo di olio), insieme ad un prosciutto giustamente grasso, un pecorino amabilissimo e morbido accompagnato da un miele raffinato, un salamino verace già tagliato a rondelle, una ciotola, con i lupini, con i lupini avete capito !!!???, e soprattutto un piattone di porchetta, divina, magra, appena scaldata, tenerissima, profumatissima… una favola. Davanti a questa bella hosteria piena di fascino, sotto una fila di Tigli che di tanto in tanto spandevano nell’aria fragranze tenui e dolcissime, la piazza deserta e un venticello che accarezzava, le stanchezze della giornata sono state messe da parte in un secondo, la sfilza di antipasti anche in meno. Non era finito: ci viene portato un pentolino coperto, dentro uno spezzatino con le patate, in bianco, niente sugo, affogato in una salsa profumatissima, un rametto di rosmarino fresco evaporava aromi aspri, non è servito il coltello tanto lo spezzatino era tenero, una delizia, in assoluto il migliore di sempre; e per finire il caffè, magia, della moka, come piace a noi. Una giornata perfetta che si è conclusa ancora meglio, se l’avessimo voluta organizzare non ci saremmo riusciti a farlo così bene. La montagna ci aveva appena regalato un’altra giornata perfetta ed indimenticabile, il cassetto dei ricordi piacevoli si arricchiva ancora, chi non ha vissuto queste giornate non potrà mai capire le mille sfaccettature della montagna.